22 SETTEMBRE – ORE 18,00, presso TEATRO VASCELLO (ROMA)
25 SETTEMBRE – ORE 17,00 e 22,15, presso FESTIVAL INTERNAZIONALE DI TERNI (TERNI)
THEATER COMPANY RINKOGUN
in collaborazione Istituto Giapponese di Cultura in Roma
testo e regia Yoji Sakate
con
Aya Enjoji, Mari Nakayama, Tenshi Kamogawa, Kenjiro Kawanaka, Tsunekazu Inokuma, Lee Ju-Won, Hideyuki Sugiyama, Yoko Matsuoka, Maiko Hio, Yosuke Suzuki, Naofumi Takeyama, Takashi Kobayashi, Yuka Tanaka, Yoko Fukuda, Syoko Munakata
scene John Manjiro
luci Isao Takebayashi
suono John Manjiro/ Tokoha Utsumi
direttore di scena Norihiko Morishita
amministrazione Michihiro Furumoto
sottotitoli italiani a cura di Alessandro Clementi
Yaneura è una pièce in cui confluiscono circa ventiquattro episodi apparentemente slegati l’uno dall’altro, che hanno lo scopo di gettare uno sguardo indagatore in un fenomeno sempre più diffuso nella società giapponese: quello degli hikikomori. Il termine si riferisce ad adolescenti fino ai venti, trent’anni (o anche di più), che scelgono di autorecludersi nelle loro camere rifiutando qualsiasi contatto con il mondo esterno. Tutte le scene si svolgono all’interno di uno spazio comicamente claustrofobico, di appena due metri di larghezza: le dimensioni di una mansarda, lo yaneura. Nell’impianto della storia, “Yaneura” è anche il nome della stanza montabile a forma di tenda trapezoidale, prodotto messo in vendita via internet da una compagnia senza nome. Con tocco leggero e umorismo, la pièce affronta il fenomeno hikikomori da prospettive diverse, attraverso lo sguardo di chi è costretto a uno stato di isolamento forzoso e autoimposto (ognuno dei quali occupa o ha occupato a suo modo lo yaneura), o di quello delle testimonianze di familiari e amici. La varietà degli approcci narrativi all’interno di questa pièce gonfia di black humor, esplora le implicazioni del fenomeno hikikomori evidenziandone il carattere sintomatico di disfunzione sociale nel Giappone della postmodernità, ma nel contempo le accompagna alle esperienze rivelatrici di coloro che sono rimasti atomizzati dalla mancanza di comunicazione “reale”, e forzati a scegliere vite di confino e isolamento.